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Notaio - Fondi da Paesi in black list

Sentenza del Tribunale di Roma n.7369/2021


Nella sentenza n.7369, emessa nel 2021, il Tribunale della capitale si è occupato del ricorso di un Notaio contro un decreto sanzionatorio ministeriale. 

Il nucleo di polizia tributaria dalla Guardia di Finanza aveva condotto, presso lo studio del professionista, una verifica sull'applicazione della normativa antiriciclaggio nell'esercizio dell'attività notarile, che prendeva in esame un periodo di circa due anni.
Nel corso dell'accertamento, esaminando una serie di atti stipulati, gli operanti si erano soffermati in particolare sulla compravendita tra una società e uno dei suoi soci, in cui il prezzo era stato regolato in modo anomalo; in minima parte tramite un assegno circolare nazionale e, per la restante, mediante “compensazione legale”, essendo la società alienante (come dichiarato dalle parti nell‘atto) debitrice nei confronti dell'acquirente (socio) di una somma di pari importo a titolo di “finanziamento soci”. Il finanziamento era stato effettuato con una serie di bonifici esteri di differente importo, per il tramite di banche situate in paesi considerati "paradisi fiscali".

Nel fascicolo relativo all‘atto, i militari avevano rinvenuto anche comunicazioni ivi inserite correttamente dal professionista e predisposte in vista della redazione dell‘atto di compravendita, con le quali il rappresentante legale della società venditrice (consapevole della possibile anomalia dell’operazione) suggeriva all’acquirente l’opportunità di rendere edotto il Notaio, in modo accurato, degli estremi di costituzione e provenienza del finanziamento soci in questione. 

In esito a tale suggerimento, l’acquirente dichiarava di non avere la possibilità di reperire tali dati nella loro completezza, trovandosi all‘estero, ma di poter fornire a tal fine una propria dichiarazione. 

La società venditrice aveva allora trasmesso al Notaio un prospetto dei bonifici a titolo finanziamento soci in base ai dati in quel momento posseduti e dichiarati dall'acquirente.
Dopo aver visionato tale fascicolo, la GdF aveva ritenuto che l'operazione avrebbe dovuto essere segnalata all‘Unità di Informazione Finanziaria della Banca d‘Italia, a causa della carente documentazione in possesso dello studio notarile che non aveva effettuato, a dire degli operanti, alcun tipo di riscontro per far luce sulla provenienza del capitale impiegato nell‘atto negoziale.

Ricorrevano inoltre altri indicatori di anomalia dell'operazione: la provenienza dei fondi da un paese inserito nella cosiddetta black list senza riscontro di ragionevoli motivi connessi all‘attività esercitata, al gruppo di appartenenza o a particolari condizioni adeguatamente documentate. Un altro indice di anomalia stava nel fatto di aver pianificato la regolazione dei pagamenti secondo modalità tali da suscitare il sospetto che si intendesse ricorrere a tecniche di frazionamento del valore economico dell‘operazione, in assenza di ragionevoli motivi riferiti all'attività esercitata o a particolari condizioni adeguatamente documentate.

Il Notaio aveva chiarito direttamente ai verbalizzanti, in occasione dell’ispezione, che non aveva ritenuto di dover inoltrare la segnalazione all‘UIF poiché conosceva l'acquirente, un componente del consiglio di amministrazione di un'importante banca d'affari americana e aveva escluso che l'operazione potesse celare un'attività di riciclaggio.

Ciononostante la GdF, non ritenendo validi i chiarimenti, aveva contestato la mancata segnalazione di operazione sospetta nel PVC. Il Notaio inviò quindi, entro i successivi trenta giorni dalla notifica di questo, opportuni scritti difensivi al Ministero, sostenendo che gli obblighi di adeguata verifica della clientela dovevano ritenersi adempiuti, stante l'intervenuta acquisizione dei documenti d'identità dei clienti, l'individuazione del titolare effettivo dell‘operazione, la verifica della congruità del corrispettivo, nonché la natura ordinaria e coerente dell‘operazione rispetto al profilo economico e professionale del cliente. L’acquirente aveva, inoltre, personalmente partecipato a tutti gli atti inerenti la complessa operazione di vendita dell’immobile facente parte di un complesso immobiliare e non era stata ignorata la provenienza estera dei bonifici che avevano costituito il finanziamento del socio, tra l'altro provenienti da un Paese che aveva avviato le procedure per rientrare nel novero dei Paesi considerati “collaborativi” sotto il profilo convenzionale.

Il Ministero, non condividendo le argomentazioni, aveva emesso decreto sanzionatorio, avverso il quale il Notaio aveva presentato ricorso.

Le eccezioni preliminari, concernenti la prescrizione del diritto a emettere il decreto ai sensi dell’art.14 L.689/1981 (essendo trascorsi oltre novanta giorni dal giorno dell’inizio dei controlli), sono state ritenute infondate dal Tribunale; compete infatti al Giudice di merito determinare il tempo ragionevolmente necessario all'amministrazione per giungere a una completa conoscenza dei fatti, nonché individuare il dies a quo di decorrenza del termine tenendo conto della maggiore o minore difficoltà del caso concreto e della necessità che tali indagini, pur nell‘assenza di limiti temporali predeterminati, avvengano entro un termine congruo: il relativo giudizio è sindacabile, in sede di legittimità, solo sotto il profilo del vizio di motivazione. In sostanza, da un noto e consolidato orientamento, non riveste importanza il giorno di inizio delle operazioni di controllo, ma quello in cui l’amministrazione procedente ha a sua disposizione tutte le informazioni necessarie per la notifica della contestazione; la valutazione di tale circostanza è prerogativa insindacabile del Giudice. 

Anche il termine previsto dall’art.69 c.2-3 del d.lgs.231/2007 non poteva ritenersi spirato, nonostante il Ministero non avesse fornito prova della data di ricezione del PVC da parte degli operanti accertatori, evidenza questa sì, meritevole di motivo d’appello.

Nel merito, il Ministero aveva evidenziato che, diversamente da quanto affermava il ricorrente, la conoscenza dell'attività lavorativa svolta dall'acquirente e della sua solidità finanziaria era irrilevante, poiché ciò di cui si dubitava non era la congruità economica dell‘operazione, ma l’indubbia provenienza del denaro impiegato da paesi considerati “paradiso fiscale”, situazione che configurava indice di anomalia.

Il Ministero evidenziava, inoltre, la sussistenza di altre stranezze, riferite all’acquisto da parte dell’acquirente dell’immobile congiuntamente (in precedenza) all’acquisto di una partecipazione nella società venditrice con successiva erogazione in un arco temporale pluriennale di una serie di finanziamenti soci (operazioni con configurazione illogica, specie se economicamente e finanziariamente svantaggiose per il cliente ovvero complesse rispetto allo scopo dichiarato), come anche la provenienza delle provviste da un Paese ancora inserito in black list, nonostante il percorso avviato per uscirne.

Il Ministero contestava, infine, la valutazione della verifica del cliente, sebbene la copiosa documentazione prodotta dal Notaio e la minuziosa ricostruzione di tutti gli atti precedenti e delle informazioni via via acquisite denotassero che la profilatura del cliente e il suo costante controllo nel corso del tempo erano state adempiute con correttezza.

A queste eccezioni, il Tribunale ha replicato evidenziando come gli elementi di conoscenza del cliente raccolti dal Notaio fossero basati su dati obiettivi e certi; l’unico dato “autoreferenziale”, per usare il linguaggio del decreto sanzionatorio, era costituito dal semplice prospetto dei bonifici per i finanziamenti in atti nel fascicolo del Notaio, cosa che, come evidente, non atteneva alle caratteristiche generali del cliente. 

Per quanto concerneva l’accertamento sulla provenienza dei fondi, il Tribunale ha sostenuto che non fosse strettamente necessario. Per quanto il Ministero avesse fatto discendere la necessità di tale verifica dalla circostanza che il Paese di provenienza dei fondi fosse in black list, risultava evidente l’errore di prospettiva commesso dall’amministrazione; l’accertamento della provenienza dei fondi, anziché dalla necessità di riscontrare la coerenza dei dati sulla conoscenza del cliente già in possesso del professionista, come prescritto dal d.lgs. 231/2007, è fatto discendere dalla sussistenza di uno solo dei vari indici di anomalia (il n.7 del D.M. Giustizia 16.4.2010) riferiti all’operazione.

In definitiva, per il Tribunale, l’inconsistenza delle condizioni per procedere ad un approfondimento sulla provenienza dei fondi utilizzati nella compravendita, rendevano senz’altro dubbia l’insorgenza dell’obbligo di segnalazione. 

Per tale motivo il Tribunale ha giudicato insufficienti gli elementi sui quali fondare la responsabilità dell’opponente, con conseguente accoglimento del ricorso e annullamento del decreto, come previsto dall’art.6, c.11, del d.lgs.150/2011.