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Dottore commercialista – Sanzione per presunta consapevolezza dell’ambiguità delle operazioni, che per anni aveva omesso segnalazioni.

Sentenza del Tribunale di Roma n. 10075/2018


La vicenda oggetto della presente disamina coinvolgeva un commercialista sanzionato dal Ministero per mancata segnalazione operazioni sospette ai sensi della normativa antiriciclaggio.

Il professionista aveva subito un controllo da parte della Gdf, durante il quale i militari si erano concentrati nell’esame della situazione contabile di una sua assistita, società a responsabilità limitata esercente la specifica attività di commercio all’ingrosso di rottami metallici, fattispecie alla quale, si evince dall’esperienza, gli operanti siano soliti dedicare particolare attenzione.

Di tale ente societario, il commercialista risultava altresì tenutario delle scritture contabili.

Le contestazioni derivanti dalla verifica traevano origine dalle indagini svolte in precedenza dalla Gdf, Nucleo Polizia Tributaria, nell’ambito di un procedimento penale avviato dalla competente Procura della Repubblica.

Come si poteva evincere dal PVC, tale società operava attraverso sei conti correnti indicati nel verbale di accertamento. 

Il materiale veniva acquistato in contanti da soggetti non individuati nei documenti di acquisto (documenti che, altresì, non risultavano firmati per quietanza).

La rivendita del rottame era contabilizzata con fatture intestate ad un’unica società del settore e i relativi pagamenti avvenivano attraverso l’emissione di assegni bancari accreditati sui conti correnti indicati. 

Era emerso che tale società, aveva la disponibilità di due mezzi d’opera strumentali al trasporto dei beni oggetto dell’attività, in sostanza acquistava materiale metallico e lo trasportava al cliente finale. 

Di tali circostanze il commercialista era a conoscenza, come lui stesso aveva espressamente dichiarato ai militari; inoltre, aveva asserito agli operanti di avere informato l’amministratore della società in questione della necessità di indicare sui documenti d’acquisto le generalità dei cedenti e dell’opportunità di non usare il denaro contante per il pagamento. 

Si trattava di operazioni di importo molto rilevante, pari a svariati milioni di euro; nonostante tutto, il professionista ammetteva di non avere mai effettuato segnalazioni all’UIF non ravvisandone necessità. 

Le concrete circostanze, come sopra indicate, inducevano i militari ad escludere la trasparenza delle operazioni, tenuto conto pure che non era necessario, ai fini della segnalazione come sospetta operatività, avere certezza della sua illiceità, essendo sufficiente un semplice sospetto. 

Sulla base di tali motivazioni il Ministero emise ordinanza ingiunzione per seicentomila euro, avverso la quale il commercialista, con ricorso ex art. 6 d.lgs.150/2011, presentava opposizione, deducendo:

 

1.L’insussistenza di responsabilità a suo carico, in quanto le modalità con cui la società svolgeva la propria specifica attività commerciale non erano tali da ingenerare sospetti in capo al ricorrente, in ordine alla illegittima provenienza del contante utilizzato per l’acquisto dei rottami metallici così come sulla illecita provenienza delle merci acquistate; 

2.L’eccessiva entità della sanzione irrogata. 

 

Il Tribunale, nel merito, rilevava che doveva osservarsi la parziale applicabilità della normativa prevista dal d.l.143/91, in vigore sino al 30.04.2008 per la parte non interessata da modifiche successive, mentre per le operazioni finanziarie successive a tale data risultava applicabile l’art.41 del d.lgs.231/2007

Ai sensi dell’art.3 co. 1 del d.l.143/91, “il responsabile della dipendenza, dell'ufficio o di altro punto operativo ha l'obbligo di segnalare senza ritardo al titolare dell'attività o al legale rappresentante o a un suo delegato ogni operazione che per caratteristiche, entità, natura, o per qualsivoglia altra circostanza conosciuta a ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell'attività svolta dal soggetto cui è riferita, induca a ritenere, in base agli elementi a sua disposizione, che il danaro, i beni o le utilità oggetto delle operazioni medesime possano provenire dai delitti previsti dagli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale. Tra le caratteristiche di cui al periodo precedente è compresa, in particolare, l'effettuazione di una pluralità di operazioni non giustificata dall'attività svolta da parte della medesima persona, ovvero, ove se ne abbia conoscenza, da parte di persone appartenenti allo stesso nucleo familiare o dipendenti o collaboratori di una stessa impresa o comunque da parte di interposta persona”. 

L’art.41 co.1 del d.lgs.231/2007, nel testo ratione temporis vigente così dispone “i soggetti indicati negli articoli 10, co. 2, 11, 12, 13 e 14 inviano alla UIF, una segnalazione di operazione sospetta quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Il sospetto è desunto dalle caratteristiche, entità, natura dell'operazione o da qualsivoglia altra circostanza conosciuta in ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell'attività svolta dal soggetto cui è riferita, in base agli elementi a disposizione dei segnalanti, acquisiti nell'ambito dell'attività svolta ovvero a seguito del conferimento di un incarico”. 

La giurisprudenza di legittimità nell’interpretazione dell’art.3 d.l. n.143/91 aveva da tempo statuito che l'obbligo di segnalazione dalla stessa previsto “non è subordinato all'evidenziazione dalle indagini preliminari dell'operatore e degli intermediari di un quadro indiziario di riciclaggio, e neppure all'esclusione, in base al loro personale convincimento, dell'estraneità delle operazioni ad una attività delittuosa, ma ad un giudizio obiettivo sulla idoneità di esse, valutati gli elementi oggettivi e soggettivi che la caratterizzano, ad essere strumento di elusione alle disposizioni dirette a prevenire e punire l'attività di riciclaggio” (cfr Cass. 10.04.2007, n. 8699). 

In sostanza è richiesto un mero giudizio di possibilità in ordine alla provenienza delittuosa dei fondi e alla finalità illecita delle operazioni, mentre non si richiede in capo al titolare dell’obbligo della segnalazione di acquisire alcuna certezza riguardo alla illiceità dell’operazione (cfr Cass. 30.10.2009, n. 23017; Cass. 10.04.2009; 9353/2007; n. 9309/2007; n. 9089/2007). 

Tutti i delitti non colposi, inclusi i reati fiscali, possono rappresentare reato presupposto indispensabile a configurare il delitto di riciclaggio dei connessi proventi ai sensi dell’art. 648 bis c.p. 

Il Tribunale fornisce anche un chiarimento di rilevante importanza, precisando che tale interpretazione può ritenersi estensibile a quanto previsto dell’art.41 del d.lgs.231/2007, atteso che, mentre il sospetto rilevante ai fini dell’obbligo di segnalazione ex art.3 del d.l.143/91 è connesso alla eventualità “che il danaro, i beni o le utilità oggetto delle operazioni medesime possano provenire dai delitti previsti dagli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale”, il sospetto rilevante ai fini dell’obbligo di segnalazione ex art.41 del d.lgs.231/2007 è più genericamente connesso all’eventualità “ ...che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo”. 

L’obbligo di segnalazione ex art.41 del d.lgs.231/2007, dunque, non presuppone una valutazione della operazione tale da far ritenere possibile che i fondi che ne sono l’oggetto provengano da operazioni lato sensu di riciclaggio, essendo sufficiente la ragionevolmente ipotizzabilità che un’operazione di riciclaggio sia in corso. 

L’obbligo di segnalazione di cui si tratta non presuppone, pertanto, la conoscenza dell’origine illecita dei fondi perché in tal caso il responsabile che ne consente comunque la movimentazione sarebbe esposto a responsabilità non amministrativa ma penale. 

Ciò premesso, il Giudice ha ritenuto che le operazioni in oggetto dovevano essere segnalate come sospette ai sensi della normativa indicata; il carattere sospetto delle operazioni effettuate appariva evidente in considerazione dei connotati oggettivi dell’operazione e tenuto conto dei profili soggettivi del cliente. 

Si trattava inoltre di operazioni di importo di estrema rilevanza, per poter passare inosservate, tali da fare insorgere il “mero sospetto” ad un operatore professionale quale era il dottore commercialista sanzionato. 

 

 

Le circostanze concrete evidenziate portavano ad escludere la trasparenza delle operazioni, tenuto conto peraltro come già detto che non era necessario, “ai fini della segnalazione come sospetta, avere certezza della illiceità delle operazioni, essendo sufficiente un semplice sospetto”. 

Per quanto atteneva invece l’entità della sanzione, il Tribunale si è espresso in modo favorevole al ricorrente; a riguardo deve osservarsi che l’art.5, co.2, d.lgs.90/2017, entrato in vigore il 4.7.2017, ha modificato l’art.69, co.1, d.lgs.231/2007, estendendo il principio del favor rei alla materia delle infrazioni antiriciclaggio. La nuova norma, infatti, stabilisce che “nessuno può essere sanzionato per un fatto che alla data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente Titolo non costituisce più illecito. Per le violazioni commesse anteriormente all'entrata in vigore del presente decreto, sanzionate in via amministrativa, si applica la legge vigente all'epoca della commessa violazione, se più favorevole, ivi compresa l'applicabilità dell'istituto del pagamento in misura ridotta”. 

Nel caso in esame, l’obbligo di segnalazione di operazioni sospette, regolamentato nel nuovo testo degli artt.35 e 58 d.lgs.231/2007 non ha comportato modificazioni, rispetto alla normativa vigente all’epoca dei fatti contestati, riguardo all’abolizione della violazione, né variazioni riguardo i soggetti agenti. 

Ciò che ha subito modifiche è l’entità delle sanzioni edittali, in precedenza punite con una sanzione dall’1 al 40% del complessivo valore delle operazioni non segnalate. Con d.lgs.90/2017 è stata prevista la sanzione amministrativa pecuniaria in misura fissa, pari a € 3.000,00 (art. 58, comma 1) e in misura compresa fra il minimo di € 30.000,00 e il massimo di € 300.000,00 “nelle ipotesi di violazioni gravi ripetute o sistematiche ovvero plurime”, sempre che il fatto non costituisca reato e che non si tratti di violazioni ascritte a intermediari finanziari e bancari o revisori legali e società di revisione legale soggetti all’autorità di vigilanza del rispettivo settore (art. 58, co.2). Il principio del favor rei, esteso espressamente dal d.lgs.90/2017 alla materia dell’antiriciclaggio, trova come è noto applicazione principalmente in sede giurisdizionale, successivamente alla emanazione della sanzione. 

Per il Tribunale doveva aggiungersi che non poteva assumere rilevanza il disposto contenuto nell’art.74 d.lgs.231/2007, come novellato, che prevede una clausola d’invarianza finanziaria, in ragione della quale: “1. Dall'attuazione del presente decreto non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. 

Doveva aggiungersi inoltre che non era ragionevole, e sarebbe del tutto discriminatorio, far dipendere l’applicazione di una normativa o di un’altra dalla maggiore o minore efficienza della pubblica amministrazione nell’emanazione del provvedimento amministrativo. 

In conclusione il Tribunale riteneva che la nuova previsione sanzionatoria, ove più favorevole, dovesse applicarsi a tutti i giudizi di opposizione, non definiti, riguardanti violazioni commesse prima del 4.7.2017, come quello in disamina. 

Tenuto conto del grado di responsabilità del professionista, secondo il Tribunale ben consapevole dell’ambiguità delle operazioni e che per anni aveva omesso qualsivoglia segnalazione, veniva così applicata la sanzione massima di 300.000,00 euro, prevista dall’art.58 co.2 del d.lgs.231/2007, come novellato dal d.lgs.90/2017 che, sebbene sempre di estrema gravità, era più mite di quella prevista dalla norma antecedente sulla quale insisteva il Ministero.